Il mantra dei genitori: Don’t engage


Nel post Come diventare allenatore emotivo di tuo figlio ho elencato alcuni modi per aiutare il proprio figlio a gestire le emozioni.

Uno in particolare risulta essere il più difficile da mettere in pratica, quello che in inglese è sintetizzato in due parole Don’t engage. Tradotto nel linguaggio da genitori di tutti i giorni, suona più o meno come – Non la prendere sul personale e non reagire se tuo figlio ti insulta e sbatte la porta.

Facile no? Sembra sempre tutto più semplice quando si leggono questi consigli o suggerimenti, ma poi metterli in pratica risulta più difficile. Devo comunicarvi però che la parte difficile consiste solo nell’iniziare, poi dopo ci si abitua e si attua un vero e proprio cambiamento nel nostro comportamento e soprattutto in quello dei nostri figli.

L’ho sperimentato sulla mia pelle. Ora ve lo racconto.

Tardo pomeriggio.
Lei, 15 anni, torna da pallavolo stanca e nervosa, cosa strana perché di solito lo sport è la sua carica di energia positiva. Tra doccia e asciugatura capelli, resta in bagno 45 minuti. Poi esce e viene a cena (il bagno ormai non è più una stanza accessibile). Non le piace nulla di ciò che è a tavola, sbuffa, fa polemica e si mette al telefono (cosa vietata ai pasti). La misura è colma. Le dico di posare il telefono e si scatena l’inferno. Lei sembra un’Erinni (se non sapete cosa sia consiglio di consultare Wikipedia così potrete avere un’idea chiara di cosa si è scatenato a casa mia) e quello che le esce dalla bocca è di una cattiveria incredibile. Cala il silenzio in cucina. Mentre sono sommersa dalle sue parole conto fino a dieci. Respiro. E le dico: “Senti, a quanto pare sei molto stanca, se vuoi puoi andare a letto”.

Lei borbottando e stupita va nella sua stanza.

Come mi sono sentita io? In un primo momento stavo per rispondere a tono a tutte le sue accuse, poi mi sono detta “Don’t engage” e mi sono calmata (l’ho ripetuto venti volte). Esattamente cosa è avvenuto nella mia testa?

  • Ho notato uno strano nervosismo nel suo entrare in casa
  • Ho classificato mentalmente tutte le cose che mi ha detto
  • Ho capito che rispondere avrebbe generato solo un vortice di accuse reciproche che avrebbe potuto lasciare strascichi spiacevoli nei giorni seguenti
  • Mi sono ricordata di essere io l’ADULTA della situazione

Ecco, quest’ultimo punto mi ha ridato lucidità.
Come ho scritto nel post del mese scorso, mettere da parte l’orgoglio è sempre difficile, soprattutto quando ci si sente accusati dai propri figli e colti nelle proprie debolezze. Quante volte i nostri adolescenti nel bel mezzo di una discussione sono riusciti a toccare quel nostro nervo scoperto, il nostro tallone d’Achille e noi siamo rimasti sconvolti perché pensavamo di averlo risolto o che almeno non fosse così evidente perfino a un essere di 13 anni?

La cosa più utile e produttiva in questi casi è quella di ricordarsi sempre di essere gli adulti della relazione e quindi di comportarsi come tali. Quando la discussione sta sfociando in aperto conflitto, fare in modo di non utilizzare l’artiglieria pesante e defilarsi elegantemente. Ci si torna dopo.

Ogni confronto acceso, litigata e conflitto può:

  • trasformarsi in un’occasione per noi di conoscere meglio i nostri figli, capendo i loro punti deboli, cosa scatena le varie emozioni (rabbia, tristezza, preoccupazione) e capire come aiutarlo;
  • dare origine a una riflessione per loro su come gestire le emozioni e lavorare sulle motivazioni scatenanti.

Quando le acque si sono calmate, è opportuno parlare di quello che è successo. Lo si può fare in maniera leggera e casuale o in modo più mirato e preparato, a seconda di ciò che a vostro parere è emerso dalla discussione e anche prendendo in considerazione il carattere e l’attitudine di vostro figlio.

  • Parlare di quello che è emerso. Quali sono le ragioni che hanno scatenato la reazione rabbiosa e il senso di frustrazione.
  • Ascoltare senza giudizio.
  • Provare a capire insieme come la prossima volta si può affrontare la stessa situazione
  • Ricordare che le emozioni sono temporanee e quindi si possono gestire.

Sì, lo ammetto, è difficile tenere a mente tutto questo, restare lucidi e non cedere alla provocazione di rispondere a tono: non siamo robot e non abbiamo sempre l’energia per fare tutto questo. Ma in realtà sarebbe di gran lunga maggiore l’energia spesa a rispondere, minacciare e urlare che quella usata in respirare e lasciare andare.

La fine della storia

La sera della litigata mia figlia dal suo letto mi scrive un messaggio di scuse per essere stata nervosa. Capisco che è il segnale di apertura, sono stanca e ho solo voglia di mettermi sul divano e vedere la mia serie preferita, ma vado da lei. Devo approfittarne. Parlando scopro che durante l’allenamento aveva sbagliato tutte le battute e le schiacciate e aveva paura che l’allenatrice non la convocasse per la partita.

Era arrabbiata con se stessa e preoccupata. Abbiamo parlato dei giorni no che capitano a tutti, del fatto che sicuramente non sarebbe stata una giornata sbagliata a far decidere l’allenatrice, ma l’impegno e la costanza con cui si è allenata. In conclusione, da una litigata contenuta sono emerse tante riflessioni e insegnamenti di vita. Per entrambe.